La rabbia non è un nemico da reprimere!
“Ogni tanto mi prende una rabbia così violenta che ho paura di me.”
Forse è capitato anche a te di pensarlo?
Magari hai anche provato a farti aiutare ma ti sei sentito giudicato: devi cambiare, arrabbiarsi non va affatto bene…
Be’, sai che ti dico? Invece sì!
Proprio così, arrabbiarsi va bene. Anzi, nel nostro processo di guarigione, è proprio necessario passare attraverso la rabbia.
Arrabbiarci ma soprattutto esternare quest’emozione è importante perché in questo modo dimostriamo a noi stessi che sappiamo difenderci e che non accettiamo di essere trattatati ingiustamente.
Tenere la rabbia dentro invece significa riversare contro noi stessi l’aggressività che vorremmo opporre contro un mondo esterno che ci opprime.
La rabbia repressa ci fa ammalare, quella espressa è il primo passo verso la guarigione.
La rabbia dice proprio questo: Non permetterò più a nessuno di farmi del male!
“Stai dicendo che mi devo trasformare da vittima in oppressore?”
No, anzi questo atteggiamento innesca solo un circolo vizioso.
Molti di noi reprimono la rabbia perché hanno paura di fare del male ai loro cari. Ma non è necessario scagliare la nostra emozione contro qualcuno, per esprimerla.
La rabbia, come tutte le emozioni, è energia che vuole manifestarsi, e in quanto tale può essere canalizzata. Posso recitarla, cantarla, farne un quadro o esprimerla col corpo persino prendendo a pugni un cuscino, se sento che mi serve.
E dopo?
Molti processi si fermano qui: tu mi hai ferito, io mi difendo, e la difesa va da una civile discussione fino all’aggressione armata.
A guardare come sta il popolo umano oggi, siamo fermi a questa fase e non sembra affatto essere la soluzione definitiva.
Per uscire dalla sofferenza è necessario compiere un passo oltre: quello del perdono.
Su questo punto, molti si sono persi ma il problema sta tutto in un grande equivoco.
Perdonare non significa dimenticare, giustificare il male o dimostrarci più grandi e magnanimi del nostro oppressore. Non significa subire in nome di una morale.
Perdonare significa che mi sono ricordato che non c’è separazione tra noi, che il tu e l’io sono personaggi illusori tutti interpretati da un unico grande UNO.
Non ci sono veramente una vittima e un carnefice, c’è un grande gioco cosmico. Nella prospettiva dell’Anima comprendo la parte che ho avuto io e la parte che ha avuto l’altro.
Ma prima di tutto è necessario perdonare noi stessi. Abbiamo bisogno di auto-perdonarci per aver permesso al mondo esterno di ferirci. Solo a questo punto diventiamo in grado di perdonare l’altro.
E quindi? Bisogna essere illuminati e aver trasceso l’ego per liberarci dalla sofferenza?
In realtà come esseri umani abbiamo già un potentissimo strumento a nostra disposizione per trascendere la nostra soggettività: l’empatia.
La scienza ne ha dato una spiegazione tecnica introducendo la teoria dei neuroni specchio, i recettori del cervello che ci consentono di sentire ciò che sente l’altro, come se ci guardassimo allo specchio, appunto. La spiritualità e le discipline energetiche ne parlano invece come la capacità del cuore di sentire e accogliere dentro le emozioni di un essere altro da noi.
L’empatia di fatto è una capacità naturale e innata ma proprio a causa di ciò che ci fa sentire, molto spesso la blocchiamo, inconsciamente, per difenderci. Sentire tutto ciò che provano gli altri, compresa la loro sofferenza, è in effetti piuttosto faticoso!
Come risolvere questa empasse?
Diverse tradizioni hanno sviluppato tecniche varie. Oggi te ne illustrerò una.
La drammatizzazione dei vissuti reali
Il Counseling a mediazione teatrale ha sviluppato la tecnica della drammatizzazione dei vissuti reali.
Qui io interpreto il mio ruolo ma poi provo a interpretare anche il tuo, mettendomi nei tuoi panni, provando a sentire come ti senti tu. Questo ci avvicina, accorcia notevolmente le distanze tra noi.
In una rappresentazione scenica di semi-realtà (le emozioni che proviamo sono reali, solo il contesto è fittizio) creata con il sostegno e la rete del gruppo di lavoro, posso attraversare tutte le fasi – la delusione, la rabbia, il perdono – vederle da fuori in maniera oggettiva e viverle come se si trattasse di una palestra in cui mi alleno a trovare lo stato psico-fisico-emotivo che mi fa star meglio nel momento presente.
Alla fine del processo io resterò sempre io e tu sempre tu, ma avrò compreso un po’ meglio il senso di quello che ci accade e abbraccerò la mia parte e la tua come protagonisti di un unico meraviglioso spettacolo!
Per maggiori informazioni e per partecipare a un gruppo di counseling a mediazione teatrale a Genova: